Professore, per deludere i nostri lettori chiuderei subito il problema della mia carriera «rovinata dal suo 18» al mio ultimo esame (nel frattempo l’articolo è sparito ma grazie alle magie di Internet è sempre visibile). Le riproduco il mio libretto della scuola di specializzazione post laurea in telecomunicazioni fatta solo qualche anno dopo il suo esame, una rappresentazione plastica di tutti i fatti e non solo quelli che dipendono da una sola mano.
Per situare storicamente questi esami nella mia vita, in quel momento oltre alla frequenza obbligatoria, ero in part-time dal MinGiustizia, il 9/3/2000 nasceva la mia prima figlia, ero il direttore di una rivista di informatica su Linux (nonché, lo svelo qui, ci scrivevo, sotto pseudonimo, quasi la metà degli articoli), collaboravo attivamente con la Free Software Foundation. Ah… ho partecipato e vinto (non solo idoneo) pure un concorsino pubblico (per titoli ed esami, come si dice). Nell’ultimo periodo d’esami lavoravo a tempo pieno. C’era altro? Ah… sì: ho anche denunciato e ottenuto la condanna di BSA e Microsoft, ma ormai è tutta roba vecchia.
Per completare quindi definitivamente la questione «ad hominem», che è sempre un bel modo di discutere tra persone civili, può agevolmente cercare su Internet il mio curriculum (non me lo faccia ritoccare per l’occasione: aggiornare il proprio curriculum è una noia mortale, peggio che scrivere a un professore).
Io direi che può stare tranquillo sulla mia carriera professionale, caro Professore. Non si dia pensiero!
«Le nostre storie sono i nostri orti, ma anche i nostri ghetti» direbbe uno di cui mi fido. Noi siamo le nostre cicatrici. Quanto ai miei diciotto, ne vado fiero: talvolta sono una lezione, talaltra una medaglia. Ci sarebbe solo da scegliere se il suo è l’una o l’altra, ma ormai non mi va di dedicare tempo a questo.
D’altro canto venendo a Pisa nella mia condizione di emigrante da un sud profondo e arretrato, con le poche capacità che ho e con enormi lacune scolastiche, e poi nessun santo in paradiso, io meglio di così proprio non ho saputo fare. Me ne cruccio e mestamente vado avanti. Io, vado avanti.
Dalla mia avevo, e ho, solo una certa resilienza e un bel carattere.
Veniamo ad res ora, anche se ha detto che non mi risponderà oltre, qualcosa voglio ancora scriverle e soprattutto proporle, ma dovrà avere pazienza di leggere, e, con il massimo rispetto da parte mia, farsi un po’ prendere in giro (da toscano apprezzerà) e farmi esprimere qualche altro concetto più ampio sulla questione. Vedrà che finiremo da grandi amici e che mi risponderà pure alla fine.
Ho letto la sua risposta (senza comprenderla ovviamente in tutti questi dettagli tecnici troppo complicati per il mio 18) ma capisco che qualche anno dopo ha iniziato anche a far approfondire anche il TCP/IP ai suoi studenti. Su, mi faccia fare i conti, nel ’97 inizia la «bolla delle dot-com». Sì… sì, ok: perfettamente in tempo, dai!
Io sono sempre la persona sbagliata nel posto sbagliato e si vede che sono stato sfortunato ad incappare pure nell’anno sbagliato. Se avessi ritardato ancora un po’ sarebbe stato perfetto… è che papà voleva tagliarmi i viveri, mi son dovuto dare una mossa…
Non mi sembra però di aver detto di avere un pessimo ricordo di lei (l’ho anche ringraziata per tutto il Kleinrock diamine!), né ho sostenuto che lei non abbia fatto quello che ha fatto al CNUCE con Internet o che non fosse un drago di ricercatore o altro (codina di paglia?). Mi sono solo stupito che esprimendo così poca passione a lezione per questi protocolli avesse poi accettato di partecipare a questa kermesse nazional-popolare che è stata così poco rispettosa di quelli che Internet in questi anni l’hanno fatta vivere in Italia, non solo nascere. Ma forse anche un po’ nascere.
Perché Internet per molti non è “Inter-trattino-trattino-trattino-Net” come la spiega lei nel documentario. Non è un insieme di protocolli che mette assieme reti diverse (che esistevano trent’anni fa). Anzi molti manco lo sanno che Internet unisce reti diverse. Anzi anzi, se uno glielo chiede oggi a Internet in persona, neppure lei se lo ricorda più, visto quella che è diventata. A casa ti vendono Internet non una PincoPallinoNet connessa attraverso Internet. Sarà sbagliato, ma è così.
Internet è «La Rete». Il resto è un dettaglio.
E questo suo essere «La Rete», unica, globale, libera, che ha cambiato il mondo.
Molto meno ha cambiato l’Italia però, dove la si racconta male, come una barzelletta loffia. Farebbe ridere in bocca ad un bravo comico ma noi abbiamo solo pessimi giullari.
Poiché siamo nel regno della scolastica devo far ricorso all’autorità del prof. Alfonso Fuggetta in «Cosa stiamo festeggiando?» che la dice meglio di me questa cosa. Forse essendo professore pure lui, tra voi vi capite meglio.
Quindi io mi chiedevo: cosa ha festeggiato lei?
O per dirla meglio: cosa altri hanno festeggiato su lei?
Lei correttamente adesso si ritrae da questo ruolo di «padre di Internet in Italia» ed è ok, ma le narrazioni dei nostri cantastorie nazionali sono aliene alla verità e pure alla volontà dei personaggi. Lei resterà il papà, mi dispiace. Ma se mi segue fino in fondo posso fare qualcosa per liberarla di quest’incomodo, ma anche no.
Senza colpe (?), lei è stato invischiato in un pessimo lavoro di giornalismo da serie B, che ha guardato solo quello che voleva vedere e ha trascurato tutto il resto. A lei e agli altri non sono state fatte le domande giuste, o forse non tutte, o forse sono state fatte e poi ‘tagliate’. Le risposte non sono contestabili (almeno io non ho la competenza per farlo).
Il giornalista ha omesso di fare le necessarie verifiche. Non ha fatto ricerche. Le ha fatto tirar fuori le fotografie d’antan, i super 8, i dischi che chissà quant’è che non li sente, per non fare quello che onestamente dovrebbe fare un giornalista: documentarsi.
È tutta una mozione d’affetti quando dovrebbe esserci almeno un po’ d’informazione.
Per chi conosce questo mondo, vi ha fatto fare la figura dei fessi. Cosa che non siete certo.
D’altro canto se uno inizia ad occuparsi di Internet (anzi di tecnologia) nel 2009, mica può ricordarsi che esiste, chessò, Olivetti nel 1986. E se è così pieno di sé, manco gli viene in testa, ad avercela una testa al solito posto cioè. Insomma si è partiti da una tesi e si è trascurato tutto il resto, mica è colpa vostra al CNUCE. È un compitino fatto male. Io, da direttore di una rivista tecnica, avrei rifiutato l’articolo, non ci avrei sprecato manco il tempo dell’editing. Un 18 non lo valeva: un lavoro a tirar via, parziale, di parte, funzionale ad interessi che non sono i suoi, professore, tanto quanto non sono quelli dell’Italia. Tipo: raccattare un posto in RAI.
Poi, persino sulla titolazione del documentario (LOGIN) avremmo qualcosa da ridire e forse anche da recriminare. Un professore avrebbe detto: «Lo studente non si applica e non è nemmeno creativo», e peraltro manco cita le fonti.
Lei mi chiede il perché della lettera. Semplice. Perché io, fossi stato in me, ma anche fossi stato in lei ed è questo il punto, non avrei partecipato a questi festeggiamenti prestando il fianco alle inevitabili critiche. Lei non sembra tuttora un grande fan di Internet (senza trattini) che le ha fatto secco Osiride. Non è così che l’ha spiegata? Era così che la spiegava anche allora. E poiché lei non sembra una persona vanitosa che ci tiene così tanto ad apparire, me ne sono stupito. Tutto qua.
Io non avrei partecipato se fossi stato il papà di Internet, figurati a non esserlo!
Essere stato il primo a fare un ping dall’Italia (comunque a spese dello Stato, mi perdoni se glielo ricordo), oppure averlo fatto «grazie ad un router non colossale ma piccolo come un pc, che bootstrappava da un floppy da 5.25", offrendo un collegamento dedicato al backbone negli Stati Uniti a ben 9600 baud», come racconta Marco Calamari/Cassandra che sembra l’abbia fatto alcuni mesi prima del vostro nel centro di ricerca Olivetti (ma per fortuna sempre a Pisa così almeno è salvo l’onore della nostra città) e aver ricevuto anche la prima mail, o aver registrato la prima classe A d’Italia o aver fatto chissà quale diavoleria sono cose che possiamo (anzi… potete… mi perdoni) ricordare al bar tra vecchi commilitoni con tanto di pacche sulle spalle.
Quando però queste imprese diventano una narrazione nazional-popolare per mano di qualcuno ben noto nell’ambiente per la propria superficialità, bisogna star bene attenti al perché gli serve la storia come propaganda, con tanto di proiezioni nelle scuole e retorica da Patria Avita.
Lascio la parola al Prof. Fuggetta:
Abbiamo una situazione infrastrutturale che ci penalizza rispetto agli altri paesi avanzati. Nel loro complesso, le nostre imprese non sono certo leader nell’utilizzo delle tecnologie digitali e di Internet. Abbiamo politici che considerano Internet se va bene un lusso e spesso solo un problema. Per di più la conoscono male, non la capiscono e quando legiferano su tematiche ad essa correlate spesso complicano le cose invece di semplificarle. In generale, Internet è troppo spesso vissuta in modo superficiale o negativo o puramente consumistico e non certo come elemento strutturale di sviluppo di una società moderna.
e poi Calamari:
Si continua a vivere in un paese dove il celebrare e l’apparire sono tutto, ed essere il fanalino di coda invece viene sussurrato solo di rado, e non interessa a nessuno.
Insomma, cosa stiamo festeggiando? Un ping o…
I 6419 siti censurati in Italia, per la stragrande maggioranza (quasi il 90%) senza un provvedimento dell’autorità giudiziaria?
Una lunga serie di provvedimenti legislativi, giurisprudenziali o amministrativi (dal Fidobust alla Legge Urbani, dal decreto Pisanu alla Cookie Law) che con impressionante regolarità hanno colpito il mondo della telematica italiana rendendo impossibile viverci dentro e farci impresa? Raggiungemmo l’assurdo che, a star a sentire la legge Urbani, avremmo dovuto modificare il protocollo FTP per introdurre i disclaimer sulle immagini scaricate. Meno male che poi “qualcuno” ha denunciato il Ministro per la violazione della propria stessa legge.
Stiamo festeggiando che siamo il primo paese al mondo ad avere una fichissima «Dichiarazione dei diritti e doveri IN Internet» e poi una situazione balcanica della legislazione e giurisprudenza che impedisce un minimo di certezza del diritto su questi temi? Anche su tutto il resto, per carità.
Stiamo festeggiando un mercato delle telecomunicazioni che ha portato l’Italia ad essere al penultimo posto in Europa, peggio della Grecia «economicamente fallita», partendo da una situazione in cui l’Italia era di gran lunga il maggiore utilizzatore di reti cellulari del mondo alla fine dei ’90. Stiamo festeggiando la difficoltà con cui le PMI italiane hanno accesso ad Internet? Stiamo festeggiando il digital divide? Oppure stiamo festeggiando lo stato comatoso del diritto di espressione in Italia (in Internet e fuori da Internet)?
Per tacere di quel tal giovinotto caricato a molla che con Internet vuole «taggare» i terroristi, o che fa diventare da un giorno all’altro i propri amici i più grandi esperti di questo o quell’altro campo tecnico per farli salire ai vertici dello Stato.
Perché alla fin fine festeggiare Internet in Italia significa festeggiare questo e questa è una festa a cui io non posso partecipare. Lei?
Insomma lei è un professore e un ingegnere (no anzi, è un fisico vedo, ma vabbé, uguale) e quindi non ha alcuna responsabilità in tutto questo. Certo, non ho sentito la sua voce in difesa dei diritti digitali degli italiani in questi ultimi trent’anni, ma vabbé, uguale, queste sono cose che non «si portano» tra i tecnici che pensano sempre che tocchi agli altri dire qualcosa per difendere la propria vita e la propria professione, salvo poi dover espatriare per poter vivere e lavorare dignitosamente.
I tecnici italiani d’altronde hanno una lunga storia da «idiot savant» di cui i furbi spesso si approfittano.
Capisca, professore, il problema non è quanto io sia stato insoddisfatto del suo esame. «Kissene», direbbe mia figlia. Ma quell’esame ha rappresentato lo scontro che nei dieci anni a seguire i «giovani» hanno dovuto vivere nelle organizzazioni italiane per innovarle, pagando sulla propria pelle e con le proprie carriere, per sbattere fuori a calci SNA dalle reti locali, X.25 dai collegamenti geografici, il COBOL dalle applicazioni o chissà quale altra tecnologia di stampo medievale, combattendo con i consulenti delle telco, i tronfi professori universitari e i grandi scienziati della fuffa con le spalle al sicuro dai suggerimenti dei grandi vendor (quasi tutti ormai falliti o convertiti sulla via di Damasco). Poi, vista la capacità dell’Università italiana del tempo di premiare il merito, probabilmente i fanti di questa battaglia sono stati più quelli con i 18, o quelli che hanno l’Università l’hanno proprio dovuta abbandonare, che non quelli con tutti i 30, che fan sempre presto a passare al lato oscuro della forza pur di rimanere a cavallo.
Vedere lei sul podio della Internet italiana, a me non dispiace in realtà, ma mi fa pensare che quando andrà via lei ci sarà di peggio. Arriveranno le iene, per citar un capolavoro della letteratura italiana troppo poco letto e citato oggidì.
Il ritardo italiano di cui oggi il Prof. Fuggetta parla, non ci appartiene per colpa di un destino baro e crudele: abbiamo tutti fatto la nostra parte, anche lei, anche quel corso che, come ammette lei stesso, non si può dire fosse così tanto «innovativo» nel ’96, ma certamente poi lo è diventato nel ’97. E ho fatto anche io la mia parte le tante, troppe, volte che son stato zitto.
La nostra parte contro l’innovazione continuiamo a farla se accreditiamo che «tutto va bene, madama la Marchesa» come fa comodo ai giullari perché per loro veramente tutto va bene finché qualcuno gli serve cibo facile a spese di tutti. O gli dà un contratto milionario nella TV di Stato, QED (questo lo scrivo adesso ma potrete leggerlo con meraviglia tra qualche mese).
Poi però i nostri ragazzi devono espatriare. Nel mio piccolo, sono stato un emigrante anche io, lo porto nel sangue e non lo dimentico.
Non l’abbia a male ma in Italia Internet (quella senza trattini in mezzo) è figlia della Resistenza di chi ha combattuto sulle barricate delle nostre organizzazioni tecnologicamente fatiscenti (perché lo erano e talvolta lo sono ancora). Quel po’ di Internet che c’è in Italia, lo si deva a questa sorta di Risorgimento Digitale di cui nessuno parla perché, gattopardescamente, tutto è cambiato senza far cambiare nulla e parlarne vorrebbe dire mostrare quanto le cose, e spesso le persone nei posti di comando, sono sempre le stesse di prima. Perché parlarne è poco politically correct.
Internet in Italia non è venuta con un ping, ma è entrata a spallate giusto perché il mondo attorno lo ha preteso e i gattopardi l’hanno subita, non l’hanno scelta o guidata, e ne vediamo le conseguenze tutti i giorni.
Ora verranno le iene a vantarsene. È troppo! Troppo!
Raccontare questi ultimi trent’anni risolvendo tutto nel dire, oh quant’è bello che al CNUCE c’era un Mac Original con lo stack TCP/IP e che si è fatto un ping connettendosi ad Internet e perciò «Viva l’Italia, Viva Internet» è uno stupro della nostra storia di informatici italiani (stupro che certamente non imputo a lei, voglio esser chiarissimo, visto che ha una odiosa tendenza a personalizzare devo sottolinearlo).
Ci vediamo a Pisa. Se viene lei.
Lei mi ha proposto di venire a Pisa e prendere un caffè e parlare delle goliardate degli studenti dell’epoca. Ero molto goliardico al tempo sì, ma non è nelle mie corde adesso. Per essere goliardici ci vuole una serietà che ho perduto nel tempo, io al massimo ora posso fare una scampagnata fuori porta con la famiglia. Ma le faccio una controproposta. Venga lei a Pisa, il 24 e il 25 giugno. Abbiamo organizzato la XIX edizione di e-privacy.
A e-privacy questi temi sono all’ordine del giorno da quasi vent’anni. È resiliente pure questa, si vede.
Quest’anno il tema è lo SPID, la nuova pericolosa droga che il governo vuole spacciare ultimamente, infatti organizziamo il convegno nell’area della Sanità per questo. Ma come sempre ad e-privacy c’è grande spazio per i temi dei diritti digitali e dell’innovazione (mancata) in Italia.
Venga a fare una relazione su quello che Internet dovrebbe essere in un paese moderno e non è in Italia da trent’anni, perché i nostri politici non vogliono proprio sentirselo dire dalla voce di persone autorevoli come lei. Per questo la festeggiano su quello che ha fatto trent’anni fa, mentre su quello che accade oggi preferiscono mandare in giro i clown. Clown molto tristi peraltro e i giovani d’oggi non ne hanno paura come dovrebbero.
Lei è un giovane di 73 anni, ormai il suo ruolo è quello di dire quello che pensa senza inutili giri di parole. Non si limiti a raccontare come si incollavano le reti trent’anni fa. Faccia qualcosa di cui i suoi nipoti in questo paese possano esser fieri, ma soprattutto possano trarre utilità nella loro carriera di ingegneri, programmatori, tecnici o scienziati senza dover scappar via da questo paese.
E pure questo suo ruolo di «papà di Internet», anche se gliel’hanno hanno dato contro la sua volontà, sfruttiamolo per il bene di questa povera nazione. Il pressappochismo dei governanti sta sterminando la possibilità dei nostri figli di costruire qualcosa, soprattutto in quella tecnologia in cui una volta eravamo veramente all’avanguardia.
È un’analisi lucida della situazione, la fanno altri che hanno preso voti molto più alti di me agli esami. Fare tecnologia in Italia è molto più complicato e costoso che in molti altri paesi, se vuole le racconto come la facciamo con Hermes ma solo perché ci finanzia il Congresso degli Stati Uniti. Da questo discende che fare ogni altra cosa, tranne i clown, è quasi impossibile.
Sfida al primo ping
Poi… visto che ad e-privacy ci sarà anche Marco Calamari , il titolo di «papà di Internet» giocatevelo in un’ordalia all’ultimo sangue a suon di memorie (vista l’età… a nuclei di ferrite). Dobbiamo invitare qualcun altro?
Gli italiani hanno diritto alla conoscenza su questo che sarà pure solo un dettaglio, ma ormai ci definisce come nazione manco fosse lo spostamento della capitale.
Io invece, se me lo permettete, porto i caffè per tutti voi importanti, sono la «sguattera del Guatemala digitale» da sempre ormai, è il mio ruolo nell’organizzazione. E per rendere la cosa meno disagevole, per me e per lei, prometto che non mi farò interrogare in reti di calcolatori.
Venga su.
Grazie di cuore in anticipo.
Emmanuele exedre Somma
e tutti quelli che mi hanno aiutato a mettere in bella copia questo post.
Questa è la replica a questo:
che è la risposta a questa: