Contro i fascisti americani il generale pacifista diventò un whistleblower

Smedley Butler, il marine più decorato degli Stati Uniti, sventò un golpe contro Roosevelt, o forse no.

exedre
10 min readJul 30, 2016

La lista delle medaglie sul petto del General-Maggiore dello US Marine Corps Smedley Butler è lunghissima. Nessuno è mai stato decorato quanto lui: 16 medaglie di cui cinque per atti estremi di eroismo. Solo 20 uomini hanno ricevuto due volte una Medaglia d’Onore e Smedley Butler è tra loro. Solo tre hanno ricevuto sia la Medaglia del Brevetto del Corpo dei Marine che la Medaglia d’Onore e Smedley Butler è tra loro. Nessuno ha mai ricevuto una Medaglia del Brevetto e due Medaglie d’Onore tranne Smedley Butler, ciascuna di queste per un’azione di guerra diversa.

Quando si presentò all’arruolamento nel 1898 mentì sull’età per andare in guerra contro la Spagna. Purtroppo arrivò sulla spiaggia di Guantanamo ad invasione già finita allora il Corpo dei Marines lo spedì subito a farsi le ossa a Manila sul fronte filippino. Partecipò alla battaglia di Noveleta, dove rintuzzò senza molto successo gli Insurrectos, ma di questa sua prima vera battaglia conservò sempre il tatuaggio con l’insegna del corpo dei marines sul petto: l’aquila, il mondo e l’ancora. Aveva scelto la sua strada per sempre.

Dopo passò in Cina dove il 13 luglio 1900 prese parte alla battaglia di Tientsin comportandosi in modo così coraggioso da meritare la prima medaglia, ma non potevano dargliela essendo di leva alla fine ottenne un brevetto e la promozione diretta a capitano. Aveva solo 19 anni. Vent’anni dopo gli daranno quella medaglia intitolandola Medaglia del Brevetto.

La sua carriera, con altri numerosi atti di eroismo, si sviluppò nei Caraibi, in quelle che vennero chiamate le Guerre delle Banane in cui i militari americani proteggevano gli interessi della zona, principalmente della potente United Fruit Company che commerciava banane appunto, ma anche tabacco e zucchero di canna.

Tra il 1903 e il 1915 la sua partecipazione alle battaglie in Centro America fu continua. Guadagnò la sua prima vera Medaglia d’Onore in una battaglia a Veracruz anche se qualche tempo dopo polemicamente tentò di riconsegnarla dicendo che non avesse fatto nulla per meritarla. Gli fu ordinato di appuntarsela sul petto e non far storie. Poi partecipò alla Prima Guerra Mondiale, ma fuori dalla prima linea perché lo consideravano una testa troppo calda, gli fu ordinato di organizzare e gestire a Brest in Francia il più grande campo d’imbarco mai realizzato, tutto funzionò alla perfezione a dispetto delle difficoltà che sembravano insormontabili e guadagnò altre medaglie, scalò tutta la gerarchia militare e quando ritornò in Cina fu nominato Generale Maggiore a soli 48 anni, il più giovane dei Marines degli Stati Uniti ad avere il massimo grado.

Esther Parada American, 1938–2005 Who Was Smedley Butler?, 1985 © 1985 Esther Parada.

Al ritorno negli Stati Uniti, fuori dai campi di guerra, la vita per il general-maggiore Butler si dimostrò molto più complicata del previsto. Sofferse un primo duro colpo grazie alle bugie degli italiani, ebbe a che fare con i politici, le questioni internazionali e la stampa. Tutto iniziò quando Cornelius Vanderbilt IV (detto Junior), ultimo dei tanti rampolli della dinastia dei Vanderbilt, figlio del rinomato Generale Vanderbilt, fece un lungo giro per l’Europa ospite del regime fascista e nazista raccogliendo, in parte segretamente, materiale filmato. Tornato in patria Vanderbilt Jr. confezionò un documentario molto critico sul regime nazista intitolato «Il regno del terrore di Hitler». Fu il primo a dire chiaramente che Hitler al potere era una minaccia alla pace mondiale ma il documentario suscitò critiche molto aspre in America dove molti industriali flirtavano apertamente con il nazismo e soprattutto il fascismo.

Subito dopo la Marcia su Roma il New York Tribune, che aveva avuto Karl Marx come corrispondente da Londra solo cinquanta anni prima, paragonò Mussolini a Garibaldi e a Giulio Cesare. Pochi giorni dopo fu la volta del New York Times di elogiare “la forza” del duce come leader “tra Napoleone e un pugilista”. Ernest Hemingway (che poi cambierà idea in modo netto) ne scrisse in modo entusiastico.

«Mussolini è una grossa sorpresa. Non è il mostro che hanno dipinto. Ha un volto intellettuale ed e soprattutto un patriota» (Ernest Hemingway)

Vanderbilt Jr. invece aveva ben compreso la natura dei regimi fascisti e nazisti e ebbe modo di confidare al generale Butler un aneddoto vissuto di persona. Era in macchina con Benito Mussolini e mentre questi correva all’impazzata investì e uccise un bambino. Il Duce proseguì lasciandolo sulla strada e quando Vanderbilt Jr. gli chiese di fermarsi il Duce rispose «È solo una vita, cos’è una vita in confronto ad uno Stato». Lui era lo Stato.

Il generale indignato si lasciò scappare questa storia che ebbe molto risalto sulla stampa, non tanto per criticare Mussolini, quanto per accusare il generale di dare adito ad una fandonia. Infatti il governo italiano negò completamente l’accaduto e lo stesso Vanderbilt, già pressato dalle feroci critiche per il documentario, per quieto vivere si rimangiò le sue parole.

Dopo le rimostranze del governo italiano, il presidente Hoover, che non vedeva l’ora di liberarsi di Butler, pretese dal capo di Stato Maggiore che questi fosse posto sotto Corte Marziale. L’eroe dei Marines americani finì sotto arresto per una bugia del Governo Italiano, non era mai successo che un militare di grado così alto lo fosse dai tempi della guerra civile. Alla fine il generale si scusò e fu scagionato con una semplice nota di censura, ma la sua nomina a Comandante in Capo dei Marines, per cui era ampiamente il più titolato, sfumò e Butler optò per il pensionamento.

Uno dei motivi per cui Hoover voleva liberarsi di Butler era anche la grande popolarità che il Generale aveva riscosso nella popolazione quando a metà degli anni ’20 era stato chiamato a dirigere la polizia locale di Philadelphia. Con i suoi modi rudi e sbrigativi aveva fatto piazza pulita del crimine imperante nella città e ripulito totalmente l’estesissima corruzione nella Polizia, facendone uno dei corpi modello dell’intera America per organizzazione ed efficenza. Per questo, mentre i cittadini di Philadelphia lo osannavano, il sindaco aveva il suo bel da fare per proteggerlo dalle critiche sempre più forti dell’establishment economico e politico che proprio dalle attività illegali traeva il proprio sostentamento. Lo vollero fuori a tutti i costi e alla fine ci riuscirono, Butler rinunciò all’incarico e rientrò nei Marines.

Butler pur essendo tutto legge e ordine criticava con asprezza l’infatuazione fascista della classe dirigente americana, aveva conosciuto da vicino i meccanismi degli interventi militari e aveva combattuto il cancro della corruzione nella polizia, aveva domato i mercati clandestini durante il proibizionismo e si era confrontato veementemente non solo con i grandi malviventi della storia americana ma anche con molti dei grandi leader industriali del paese. Quello che ne venne fuori quando si sentì libero di parlare, alla fine della sua carriera militare, fu una miscela esplosiva la cui detonazione produsse effetti che, ancora adesso, siamo lontani dal comprendere.

Negli ultimi anni provò senza successo la carriera politica ma diventò un relatore molto richiesto per le sue posizioni vivamente proibizioniste e allo stesso tempo antimilitariste, tanto da diventare portavoce della Lega Americana contro la Guerra e il Fascismo.

Morì il 24 giugno 1940 per un cancro intestinale ma sei anni prima della sua morte ci fu l’evento più inatteso della sua carriera.

Nel Novembre 1934 Butler denunciò alle autorità l’esistenza di una cospirazione politica da parte di molti industriali e manager contro il presidente Roosevelt. Il piano, che fu denominato dai giornali il Business Plot, prevedeva la sostituzione del presidente Roosevelt e l’instaurazione di un regime fascista attraverso un colpo di stato gestito dalle organizzazioni di veterani di guerra. Butler stesso sarebbe stato indicato dai cospiratori, ed in particolare da Gerald McGuire, come possibile candidato alla guida della nazione, o in sua vece il Generale Douglas MacArthur.

Butler testimoniò davanti alla commissione McCormack-Dickstein sulle attività anti-americane ma non ci fu nessun seguito alle sue denunce.

«Una gigantesca bufala» (New York Times)

Al tempo il New York Times liquidò la cosa come una «gigantesca bufala» ma la versione di Butler divenne via via la più accreditata storicamente. La testimonianza di Butler era credibile, precisa e circostanziata, ma ciò nonostante il potere pubblico non fece nulla per verificarne la veridicità.

Deluso dalla timida reazione del mondo politico alle sue rivelazioni e stretto all’angolo da una stampa chiaramente ostile, il pluridecorato General-Maggiore Smedley Butler pubblicò un libro chiamato, senza troppi giri di parole, «La guerra è un racket» riassunto nella dichiarazione che rilasciò alla rivista socialista Common Sense:

Ho passato 33 anni e quattro mesi di servizio militare attivo e durante quel periodo ho trascorso la maggior parte del mio tempo come uomo di fatica di alta classe per Big Business, per Wall Street e i banchieri. In breve, sono stato un criminale, un bandito per il capitalismo. Ho aiutato a rendere il Messico e soprattutto Tampico sicuro per gli interessi petroliferi americani nel 1914. Ho aiutato a rendere Haiti e Cuba un posto decente per raccogliere ricavi dei ragazzi della National City Bank. Ho aiutato nella stupro di una mezza dozzina di repubbliche dell’America centrale per il bene di Wall Street. Ho aiutato a purificare il Nicaragua per la banca internazionale Brown Brothers nel 1902–1912. Ho portato la luce nella Repubblica Dominicana per gli interessi dello zucchero americano nel 1916. Ho aiutato a rendere l’Honduras adatto alle società americane di frutta in 1903. In Cina nel 1927 ho aiutato fare in modo che la Standard Oil potesse continuare il suo cammino indisturbata. Guardando indietro, avrei potuto dato ad Al Capone alcuni suggerimenti. Il meglio che lui poteva fare era di tenere sotto controllo tre quartieri. Io ho sottomesso tre continenti.

Il libro di Butler, che divenne in breve un best-seller ma altrettanto velocemente fu dimenticato a causa dell’imminente guerra mondiale, fu un durissimo e documentato atto d’accusa di un insider. Sotto tutti i punti di vista possiamo considerarlo un completo atto di whistle-blowing pubblico.

Alla fine, sebbene molti elementi hanno poi confermato che effettivamente vi fu una cospirazione che coinvolse una parte del mondo imprenditoriale americano simpatizzante con il fascismo e alti livelli dell’amministrazione pubblica, la società americana non considerò mai questo tentativo di golpe qualcosa di più che un passatempo da cocktail di ricchi businessman. Troppo esteso e ramificato sembrò essere il coinvolgimento della classe dirigente americana per poter prendere in considerazione una azione concreta.

Certo è che nell’ottobre del 1936 quando il cardinale Eugenio Pacelli, che dopo qualche anno diventerà papa Pio XII, in visita negli Stati Uniti, affermò preoccupato «Secondo me il pericolo più grave è che l’America divenga comunista». Franklin Delano Roosevelt, allora già Presidente degli Stati Uniti, gli rispose senza giri di parole:

«No, il pericolo più grave è che l’America divenga fascista» (Franklin Delano Roosevelt)

Non si sa se questa fosse una semplice scortesia per il futuro Papa che mantenne sempre una posizione timida nei confronti regimi europei oppure Roosevelt rappresentava solo la tragica consapevolezza di quello che si agitava nella società americana del tempo.

Comunque non vi fu nessuna indagine né approfondimento né da parte del governo né dalla stampa. La simpatia della società americana verso il fascismo era così ampia e ramificata che fu più ragionevole far finta di non aver compreso la scomoda realtà ma senza dubbio le vigorose parole del generale avevano messo in allarme gli americani e molti (ma non tutti) imprenditori resero più sfumata la loro posizione nei confronti del nazismo.

Quando Hitler invase la Polonia, nel ’39, e vennero divulgate le prime notizie sulle atrocità naziste sui campi di battaglia, mentre alcune aziende americane, come l’IBM, continuarono ad aiutare apertamente il regime nazista, altri assunsero via via posizioni più defilate per poi ricomparire in prima fila a sostegno dello sforzo bellico contro nazismo e fascismo.

Butler, a cui tutti avevano sempre riconosciuto la serietà delle dichiarazioni, si ritirò a vita privata con la moglie e dopo qualche anno, nel 1940 morì di cancro al colon senza poter vedere da parte della sua nazione una netta posizione contraria al fascismo. Gli Stati Uniti si manterranno neutrali fino all’attacco di Pearl Harbor nel dicembre del ‘41.

Quale sia stato il reale contributo di Butler nell’impedire l’instaurarsi negli Stati Uniti di un regime filo-fascista è ignoto. Una cosa è certa, Butler ha esposto, prima di ogni altro e nel modo più evidente possibile, informazioni che molti volevano rimanessero riservate, superando quel muro di silenzio e di omertà che la sproporzione di potere economico e politico contribuiva (e contribuisce tuttora) a tenere riservato e nascosto.

Come succede per molti whistleblower, Butler ha pagato con l’esclusione e il dileggio la propria presa di posizione e solo grazie al fatto di essere già in una posizione di rilievo è riuscito a non avere ripercussioni più rilevanti sulla propria vita.

< Hermes Center for Transparency and Human Rights >

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